Un colore freddo, freddissimo, lucido e pieno, un ciano che scivola nel verde, traccia tangibile dell'affinità materica con il rame, nei cui giacimenti secondari si genera la pietra di cui porta il nome - a sua volta derivato dall'errata convinzione che questa fosse originaria della Turchia, paese attraverso cui entrava in Europa -.
Minerale poroso e instabile il cui colore si corrompe di nero se esposto agli effetti degli acidi o - come lo stesso Plinio sosteneva - del vizio, nella credenza popolare sbiadisce alla fine di un amore, annerisce
in seguito al adulterio. In antichità, il cambio di colore presagiva
l'avvicinarsi di una disgrazia o di una morte violenta, motivo per cui soldati e imperatori ne portavano un esemplare legato al polso o in mano, di fatto inducendone l'ossidazione e lasciandosi influenzare dalla sfortuna.
Maestoso e regale, nelle culture centro americane si lega indissolubilmente alla figura del serpente
- emissario con cui un sole guerriero al mattino scaccia la luna dal
cielo - e sotto forma di talismano protegge gli uomini dagli effetti del
veleno.
Presso gli Aztechi, attributo del sole, degli dei del fuoco e della guerra,
svela un anima feroce che a noi europei evidentemente sfugge o da cui
abbiamo istintivamente voluto tenerci lontano, ma l'immagine torna
serena nella grande pietra di turchese, cuore del mondo, che riposa nel
buio che profuma di cacao di un tempio Pueblo...
Vibrante, intenso, quasi innaturale, separato dalla
sua forma materica sembra ricordarne origini e passato quando si
affianca al rosso
senza uscirne sconfitto, entra in assonanza con i toni ramati e si
addolcisce davanti a marroni profondi e vellutati che ricordano la terra
e il cioccolato.
Forse è per questo che, inconsciamente intimoriti, a volte ci premuriamo di renderlo innocuo, circondandolo di fucsia e giallo, a rischiararne le ombre...
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